Pensando ai grandi nomi della scena rock indipendente italiana degli ultimi anni, alcune figure spiccano su altre come gli dèi di un Olimpo fatto di club, sudore e dischi incazzatissimi: impossibile non pensare ai Ministri, agli Afterhours (più lontani nel tempo, ma sempre attualissimi) o al Teatro degli Orrori.
Band e persone che portano avanti la musica come una crociata, un modo per parlare al pubblico non solo di sé stessi, ma anche di portare avanti una visione del mondo, con la possibilità di cambiarlo, magari di migliorarlo.
Il Teatro degli Orrori era forse un’eccellenza in tale prospettiva: un gruppo che raramente è sceso a compromessi, guidato da una passione e un’energia degna di pochi. Una band in grado di creare il perfetto connubio fra arte e impegno sociale, mettendo sempre in risalto il proprio ideale politico, anche a costo di risultare sconvenienti.
Partiti nel 2005 da La Tempesta dischi, etichetta legata indissolubilmente ai Tre Allegri Ragazzi Morti, il Teatro degli Orrori ha conquistato e convinto nel tempo con la sua carica e la sua attitudine rock di chi non ha nulla da dimostrare, ma una gran voglia di sconvolgere tutti.
Ripercorriamo allora il loro percorso: quattro singoli, da quattro album, legati indissolubilmente alla storia del rock indipendente italiano.
Compagna Teresa
È il 2007 e il Teatro degli Orrori entra a gamba tesa nei club, con un disco, Dell’impero delle tenebre, che è un instant classic: basta la sua uscita e un tour per rendere la band di Capovilla e soci una realtà importante. Non che le loro voci – e i loro suoni – fossero cosa nuova nella scena: ad aprire la strada ci avevano pensato gli One dimensional man, una formazione già interessante di per sé, che si rivelerà la prima embrionale fase del Teatro. Da quel disco, una delle tracce più energiche e più note, da urlare, da ascoltare col volume al massimo: se la cassa non distorce, allora il volume è troppo basso.
A sangue freddo
Passano due anni e dagli studi la voce di Capovilla suona di nuovo imperiosa. A sangue freddo è nuovamente il disco di cui tutti hanno bisogno. Sono anni importanti per il rock indipendente italiano: gli Afterhours a Sanremo, i Ministri che escono con Tempi Bui, uno dei loro classici, La Tempesta dischi che cala la tripletta con l’uscita del Teatro degli Orrori, l’arrivo di Andate tutti affanculo di The Zen Circus e i FBYC che producono uno dei loro dischi leggendari, S F O R T U N A. I club non sono mai stati così pieni, densi di emozioni e sudore degni del miglior pogo. Un anno leggendario, in cui arriva un disco in cui la title track è forse il pezzo esemplare del progetto di Marghera. Energia, disperazione: l’urlo di A sangue freddo è un pugno nei reni.
Cuore d’oceano
Il terzo disco porta la band nella finale del premio Tenco, con un concept album sull’immigrazione – e sul dolore, che vede ancora una volta grandi collaborazioni. Se nei primi due avevamo visto la partecipazione di personaggi come Bologna Violenta e The Bloody Beetroots, stavolta tocca a Rodrigo D’Erasmo (Afterhours), Appino e Rondanini (Calibro 35 e Afterhours, fra gli altri). Ma fra tutte le collab, a spiccare è decisamente quella con Caparezza: il rapper pugliese da il meglio di sé in un brano che parla di grandi traversate in mare, di fuga dal dolore. Il Teatro degli Orrori non poteva chiedere di meglio all’artista di Molfetta. Il brano è ansiogeno e i suoni a metà fra rock ed elettronica portano la testa lontana: uno dei loro più grandi brani.
La paura
Sarà che nel 2015 l’intera scena indipendente è esplosa, facendo pochi prigionieri e tante vittime, sarà che a quel punto nel Teatro degli Orrori c’erano già numerosi attriti – gli stessi che oggi ne causano la fine, ma l’ultimo disco omonimo della band passa in sordina, apprezzato da appassionati e addetti ai lavori, ma poco adatto ad attrarre neofiti. Ormai la musica italiana sembra andare in un’altra direzione: la band di Capovilla e soci sembra un elemento strano e fuori luogo. Il Teatro degli Orrori, ad oggi, appare come l’ultima dovuta fatica nei confronti dei fan, il canto del cigno di una band che ha posto le basi di una scena che è comunque debitrice di quegli anni di gran rock, di grande rabbia. Ormai, però, resta solo La Paura che quelle chitarre possano non tornare più.