Fine anno. Inizio anno. Tempo di semina e raccolti. La musica e le sue statistiche. Artista dell’anno. DISCO dell’anno. Ha ancora senso parlare del disco dell’anno?
Spoiler: sì.
Banalmente, lo facciamo perché, nella furia categorizzante, la necessità di trovare il meglio o il peggio è ciò che ci porta avanti. Lo stesso meccanismo che poi ci porta a controllare le classifiche per vedere quanto di quello già conosciamo o meno. Poco importa che a muovere questa logica sia la musicofilia o la necessità di rispondere per le rime a chi, al bar, dice che è meglio questo o quello. L’importante è avercelo nel proprio bagaglio personale.
Ma c’è anche un ma. La musica ha, comunque, un suo valore oggettivo (fortunatamente), ed alcuni prodotti sono davvero migliori di altri. Classificarli ci aiuta a ricordarcene, a trovare il centro di quello che viene fatto e come viene fatto. La cronaca di quanto succede è fondamentale per i posteri.
Ma sento di non “essermi” ancora risposto: ha ancora senso parlare di disco dell’anno?
Spoiler: stavolta dico no. Ma perché?
Viviamo costantemente tartassati da uscite che in realtà non sappiamo gestire. Il mare del mercato discografico è diventato qualcosa impossibile da navigare, con singoli, album ed EP caricati continuamente. E si potrebbe dire “ma non devi conoscere tutto!”, ma in questo mondo ci stiamo comunque perdendo qualcosa. Già quando diciamo “disco dell’anno” non pensiamo che il più delle volte di quel disco, ormai, vengono ricordati una media di tre singoli, quando l’artista è fortunato.
Esempio: MARRACASH – PERSONA
Lo so, parlo sempre delle stesse cose, ma il caso è perfettamente calzante. PERSONA è un disco di due anni fa già entrato nella storia della nostra musica. È rimasto in radio fino all’uscita di Noi, Loro e Gli Altri, ma a beneficiare dell’alta rotazione sono stati in realtà due brani. Ed è vero che il pubblico di Marracash è per lo più su Spotify, ma il pubblico generalista, quello che giudica, l’opinione pubblica, ascolta ancora la radio (fortunatamente, parte 2). In questo panorama vanno perse – ripeto, PER IL PUBBLICO GENERALISTA – almeno altre dieci tracce, che finiscono in un limbo nel quale sono ultra celebrate su Spotify ma magari difficili da digerire per tutto il resto del pubblico.
Tutto questo discorso a cosa porta?
A un altro grande interrogativo, almeno per me. Parliamo di dischi dell’anno, da opinionisti (perché questo siamo, io per primo non mi sento depositario di una verità che mai penso potrò anche solo sfiorare) tentando di dare un quadro che sia onesto ma al contempo accattivante, totalizzante ma comunque personale. Un giro enorme che torna sempre al principio, ovvero a chi sta dietro alla tastiera a sentenziare. In un periodo così denso di materiale e in cui il pubblico difficilmente sa come orientarsi sembra difficile uscirne.
L’unica possibilità allora restano le playlist, quelle che una volta venivano vendute in edicola come compilation, e lì c’era di tutto: il pezzo del rapper figo, il tormentone, il pezzo primo a Sanremo, il tormentone, il pezzo pop del cantautore di turno, il tormentone…
Utili soprattutto perché accessibili, democratiche e VELOCI! Non c’è retro pensiero, non c’è premeditazione, ma solo: funziona o no sul pubblico?
E la qualità? Quella arriva, ma dopo. La qualità la cerchi, la studi, la tiri fuori dalla terra scavando a mani nude in quella sabbia che fa da fondale in questo oceano immenso di musica liquida. Ma devi volerla.
Interessante che questo articolo volesse essere una sorta di CinqueInCima sui miei dischi dell’anno e poi alla fine la riflessione si è spostata su tutt’altro.
Comunque, su RRM parliamo di musica e ci piace consigliarne. Allego quindi una playlist con alcune cose, fra quelle uscite quest’anno, che ho ascoltato più spesso e più volentieri. C’è tutto, per tutti i gusti: poi scavi.