Il 13 aprile è uscito su tutte le piattaforme l’EP d’esordio di REVIF, Sentirsi, un’opera a metà fra indie rock e dream pop strutturata e poetica.
Anticipato da diversi singoli fra il 2020 e il 2021 – e anche da un nostro articolo… – Sentirsi è un EP in cui REVIF si perde e si immerge per riportare a tutti la propria vita, in un certo senso.
Abbiamo incontrato quindi il cantautore romano, per farci raccontare il proprio lavoro e per farci dare qualche spoiler sul suo futuro…
Come presenteresti il tuo EP d’esordio?
Sono canzoni che descrivono un immaginario notturno e tormentato, brani naif sospesi dai riverberi e dalle emozioni. In questo disco mi sono detto : “E’ facile cadere ma stavolta cerchiamo di non precipitare”. Quindi ho costruito un tappeto su cui planare. Effettivamente queste canzoni sono nebulose che vivono dall’altra parte del cosmo, sogni che vivono altrove. La realtà è completamente trasfigurata dall’immaginazione. Sono convinto che la realtà neanche esiste e tutto è dipinto dai nostri stati d’animo, ma questo vale per tutti, non sono speciale. Questi brani sono flash distorti della mia vita, fotografie di ricordi disegnate con l’acquerello, sfocate ma potenti.
Credo di dire una banalità ma la musica mi aiuta ad esorcizzare tutto ciò che non va. Come dico spesso ai miei amici io suono per sopravvivere e non per diletto. Mi immagino questi ragazzi solitari che sognano città decadenti in cui rincorrere la propria vita. Effettivamente quello che posso dire è che non ci sono mezze misure, dobbiamo assecondare questo nostro lato emotivo. E’ lui che decide, noi possiamo solo restare in ascolto e citando alcune parole del brano “Noi e Parigi” dobbiamo provare a “Trasformare in suono il rumore”, ossia trovare un senso al dolore. Vuoi rimanere annoiato tutta la vita? O peggio ancora disincantato e cinico? Probabilmente ci sarà un prezzo da pagare, la vita non ti regala mai molto e le delusioni ci saranno o magari sarai fortunato. Ma fa tutto parte del gioco. Lo slancio vitale può portarti ovunque ed è il grande salto nel buio che ognuno di noi un giorno nella vita forse dovrà fare. E allora cominciamo a cucire il paracadute o a scrivere una nuova canzone.
Com’è stato far uscire un lavoro così intimo?
Devo dire che a me è venuto naturale e spero che sia sempre così. Io quando pubblico un brano o salgo su un palco devo trovare un senso che, seppur fragile come ogni senso, mi dia la forza di esserci. Provo a fare un esempio che magari può aiutare a capire. Ricordo che poco prima che uscisse “Sentirsi” ero davvero felice ed emozionato, pronto a tutto. Sono quelle sensazioni che capitano una volta all’anno. In quei giorni però ho avuto una brutta incomprensione con un mio amico. Effettivamente non si era comportato molto bene con me e avremmo potuto anche litigare e magari la nostra amicizia sarebbe finita. Ma stare bene, un po’ innamorato del momento, un po’ sospeso in questa bolla emotiva che è la musica mi ha aiutato a parlare con lui in modo sincero ed abbiamo chiarito. Potrei dire allora che la musica ma in generale avere sinceramente a cuore qualcosa o qualcuno ti fa davvero capire quali sono gli aspetti importanti della vita, non ti rende stupidamente polemico, ti fa andare in profondità e ti libera dalle paure e dal consumismo. Ti rende più umano. Hai mai giudicato cinicamente l’abbigliamento di una persona che ami? Non credo. Che ci importa del resto quando “Friday we’re in Love“.
Sentirsi è un’opera spontanea e poetica, ma a tratti anche molto
malinconica. Come sei riuscito ad incanalare tutte queste ‘energie’?
Ti ringrazio per aver usato la parola “poetica” in riferimento alla mia opera. Sicuramente non sono canzoni che hanno lo scopo di descrivere il mondo in cui mi muovo, né di analizzare sociologicamente i nostri tempi. Non mi soffermo su aspetti quotidiani ma prendo la dura esperienza e la immergo nel mare dell’astratto e dei riverberi. Devo dire che la malinconia è un tratto che caratterizza quelle persone che non sanno vivere nel presente e nella concretezza della quotidianità ma necessitano di sensazioni più complete e vitali. E allora capita di spingersi in avanti o indietro sulla retta del tempo, cercando una spinta che ci aiuti a riemergere. Il Disco prova a parlare proprio di questo.
È molto interessante notare la ricercatezza che regna nelle
strumentali. Quali sono i riferimenti sonori che hanno guidato questo
percorso?
Il sound del disco è molto riverberato e sospeso perché questi sono brani che spingono verso un’altra dimensione. Non sono canzoni con i piedi per terra o almeno è quello che ho cercato di fare. Si può notare un massiccio uso di tastiere tra cui Synth analogici come il Roland Juno che ha un suono sospeso e sognante. Le chitarre sono state effettate con riverberi e delay e i brani sono caratterizzati da diversi arpeggi riverberati ed evocativi. La chitarra che maggiormente è stata utilizzata è una Epiphone Dot amplificata con un Fender Twin Reverb. Il risultato è un suono che si ispira ai classici dischi indie rock inglesi.
Il sound si ispira ad un certo dream pop come Mac DeMarco, Wild Nothing, Diiv, The Drums, Beach fossils, Slowdive Craft Spells e Roosevelt. Sono presenti richiami alla new wave anni 80 ( The Cure, The Smiths) e all’indie rock dei primi anni del 2000 ( The Libertines, The Kooks, Phoenix).
Quest’opera è stata anche frutto del lavoro di Paroletti, Grande e Cola. Quanto è stato importante il loro contributo?
Devo dire molto importante. Ognuno a suo modo mi ha aiutato a crescere. Sono tutti molto creativi e in un attimo possono trovare ottime soluzioni per arrangiare un brano. Sono anche degli ottimi musicisti e delle persone speciali con le quali vorrei collaborare anche in futuro. La cosa che mi ha maggiormente colpito è stata la capacità di trovare il suono giusto in relativamente poco tempo e il missaggio. Se qualche musicista sta leggendo questa intervista, date il massimo sul missaggio. Far uscire bene i suoni fa davvero la differenza.
Come immagini il tuo ritorno sui palchi?
Sicuramente uno show che sarà curato nei minimi dettagli. La scaletta è pronta da tempo e contiene anche qualche cover di artisti che amiamo ( Peter Doherty, The Cure..). Il palco è la nostra casa, non vogliamo deludere i nostri fan che stanno crescendo in tutta Italia. Mi piace Immaginare un tour nazionale ed anche qualche data in Europa. Ho diversi amici che vivono sparsi per il continente e vorrei andarli a trovare e passare una bella serata indie rock con loro. Sai cosa intendo.
Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro di Revif?
Molte cose. Sicuramente un disco. I nuovi brani saranno meno sognanti e più distorti. Il mio animo Post Punk sta ultimamente prendendo il sopravvento e con gli altri ragazzi della band, “ boys in the band”, abbiamo cominciato a scaldare amplificatori valvolari e ad utilizzare distorsioni potenti. Mi sto facendo crescere anche i capelli ed anche l’abbigliamento sarà meno colorato. Forse cominceremo a spaccare anche qualche chitarra. E’ tutto da vedere. Indie rock Forever