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Eastern Flowers, leggilo come psych bouqet

Non è affatto un segreto che nella banda RRM siamo, chi più e chi oltre, accomunati da una smodata passione per il feticcio vinilico. 

Attacchiamo subito con un inciso dicendo che bisogna essere un po’ masochisti nel volersi lanciare a capofitto in questa nuova riscossa del disco nero.

Una corsa al massacro tra pensionati che sogghignano tra dentiere ballerine in attesa del prossimo pollo da spennare. Caterve di stringhe alfanumeriche nelle scanalature run-out dei dischi di prima edizione o copertine ingiallite che sanno troppo spesso di Tricloroanisolo. Per i wine lovers il famigerato “sa di tappo”, per i vinyl digger invece si rivela in un odore indefinito tra il dolce ricordo dell’armadio dei nonni, la muffa nobile che si insinua nei formaggi erborinati che tanto fanno figo al posto del dolce e la gazza rosa, con in copertina Capitan “il Muro di Berlino” Cannavaro lasciata nella cameretta del brufoloso teeneger che eravamo. 

Eh già, anche noi collezionisti, come i saputelli cantori del vino, sappiamo adornarci con pipponi emozionali dando così risalto al nostro beneamato oggetto del desiderio.

Ma non perdiamoci in chiacchiere. Come sanno tutti – eccetto i soliti complottisti con toupee biondo ben annidato su una testa bacata (ogni allusione al trumpet-tone è intenzionale!) – questo periodo ci ha tagliato le gambe e impedito di girovagare tra mercatini e negozi con le nostre amate tote bag.

Per affogare questa asprezza, mi sono messo a scartabellare migliaia di vinili su Discogs quando di colpo “mi trovai di maggio una mattina entro un bel prato, adorno d’ogni fiore

F**k Svezia me ne vado in Anatolia

Ma perché andare a scomodare una delle tre Espressioni Madrigalistiche di Bettinelli?

Ah boh, non saprei…semplice associazione forse.

Mettete sul piatto (per i pochi eletti che se lo sono potuto permettere in formato fisico) o nel meno fascinoso formato digitale Eastern Flowers e ditemi cosa vi rimembra.

Infatti questo album, inizialmente proposto in versione limitata di 300 copie (con il titolo originale di Doğu Çiçekleri), ha fatto subito breccia sugli appassionati di album cross-genere tanto da promuovere nel giro di pochi mesi una seconda ristampa per l’esclusivo mercato americano. Manco a dirlo andata esaurendosi in pochissimo tempo.

Io guardo la copertina fiorita di Eastern Flowers e subito mi coglie una sensazione di rasserenamento – che male non fa visto il periodo – che subito trova riscontro nelle prime note campestri, adornate da serpentine trame di sitar.

Sven Wunder, autore misconosciuto e di stanza svedese, si carica di proposito lo zaino in spalla facendo capolino nella regione più a Est del bacino mediterraneo, creando un ponte mistico tra la sua zona di appartenenza e quella di frontiera prescelta, l’Anatolia.

Psych Bouqet

Di commistioni si parla appunto, di richiami naturalistici, universali ma anche, e perché no, di oscure library music, di Goblin profondamente rossi o molleggianti spaghetti western che duettano morbosamente con le zingaresche danze balcaniche del Sud.

Eastern Flowers non è solo un gioco citazionistico fine a sé stesso, atto a foraggiare le fauci feline di noi nerd musicopatici, ma un progetto solido, per quanto bizzarro. 

Un testamento, una visione panteista, un invito a stendersi in un caleidoscopico vortice di 13 fiori, tanti quanti i brani, che senza timor sbocciano in svisate wah wah, impressionistiche campiture prog-jazz, lussuriosi ancheggiamenti funk e irrefrenabili danze con ventre de fori.

Data la difficoltà nel reperire qualsiasi info riguardo all’artista attendo solo che questo si faccia vivo con il prossimo viaggio. E speriamo solo che il biglietto non sia così caro.

 

 

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