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Girl Power: un 2019 in rosa

Lo so, ho aspettato un mese.

Può suonare passatista e immotivata la scelta ma avevo bisogno di meditarci a modo. 

Era tutto l’anno che questa idea mi ronzava per la testa e con un po’ di tempo al mio mulino ho deciso di creare questa playlist.

Ci sarebbero ennemila modi di sviscerare il perchè di tale scelta e sinceramente è difficile giustificare il motivo per cui ho selezionato ascolti esclusivamente femminili, di un determinato anno per giunta.

Semplicemente mi sono ritrovato ad ascoltare, volontariamente e non, un numero sempre più sostanzioso di album cantati, suonati, interpretati e ideati da sole donne. Questo già mi sembra un giusto pretesto per motivare questa coincidenza.

 

Anticipo che la playlist potrebbe sembrare disarticolata e poco omogenea, e non posso che avvalorare questo pregiudizio. In effetti tutto è stato stilato senza una reale ricerca spasmodica per strafare, impressionare o parlare di sè. Piuttosto è nato organicamente, selezionando in maniera sistemica la migliore traccia dell’album proposto dalle artiste che più mi hanno sorpreso.

Vuoi per la loro riconferma, per l’audacia, per l’eccitamento conferitomi o semplicemente per aver ricevuto una beata cantonata sono qui a decidere d’imperio quali voci femminili vanno messe in risalto.

Oltre alla playlist visionabile in calce per i meno pazienti, ci sono cinque input selezionati random dalla funzione shuffle di Spotify Mobile.

(Per chi se lo stesse chiedendo, ebbene sì, sono un povero pitocco che non si può permettere nemmeno di pagare 0,99 Cent per un abbonamento trimestrale…)

Ecco quindi il Girl Power 2019: un anno tinto di rosa.

Norman Fucking Rockwell! – Lana Del Rey

Lana Del Rey ha tutto per starmi antipatica: viso leggermente rifatto, voce diafana che pur piacendomi a volte tende a creare un climax così disincantato da essere nolentemente fiacco di presa; e poi quella estetica da reginetta delle feste che si da delle arie.

Ed è proprio da questi presupposti apparentemente fastidiosi ed urticanti che riesce a rivoltare i peccati della società americana, dall’interno, da una posizione privilegiata di ragazza giovane, bella e brava. Oh le ha tutte, mannaggia!

Tant’è che la nostra riesce a aprire un ventaglio di stratificazioni sonore, scandite da una voce che sa farsi muscolosa all’occorrenza e da testi ormai del tutto maturi.

Jaime – Brittany Howard

Finalmente Brittany Howard ha messo al servizio della sua portentosa voce una tessitura sonora a lei più congeniale. Non che con gli Alabama Shakes se la passasse male, dopotutto anche nei clichè blues-rock ci sguazzava discretamente ma qui le screziature funky la slanciano su un altro piano. Introspettivo, flessuoso ma con un ardore proprio che non fa che confermare l’innato talento.

La mano di Robert Glasper alla regia c’è e si sente per l’obliquo incontro di jazz variegato al nu-soul e per la moltitudine di suoni che deviano sornioni senza la curanza di doverli riacciuffare.

Ecstatic Computation – Caterina Barbieri

Può un album elettronico avere un’anima?

Athena – Sudan Archives

Atena, la dea greca, viene spesso raffigurata con il solito peplo drappeggiante e il più delle volte armata. L’Athena di Sudan Archives (all’anagrafe Brittney Parks) invece viene totalmente “spogliata”, dipinta di un lucido color ebano e disarmata, eccetto che dall’amato violino.

Proprio da questo strumento, conosciuto e approfondito, quasi del tutto da autodidatta, nasce e si dipana tutto il suo suono, volutamente transgenere, meticciato con l’elettronica e dai ritmi africani (come si evince poi dal nome d’arte che si è scelta). 

Con questo album riesce nell’intento di accentrare i diversi interessi di una ragazza solitaria ed emarginata di Cincinnati in un corpo fluido, testimone quindi dell’epos dei giorni nostri. Una seconda identità capace di divergere verso l’altra se stessa, esplodendo in un dualismo trascinante.

No Home Record – Kim Gordon

Nel mare delle novità, sempre ben accette sia chiaro, vi sono a lato anche “vecchi” decani del Rock, non vanagloriosi ed ancora con molto da dire.

Kim Gordon, una dei quattro ex-Sonic Youth, non si è mai adagiata su il suono a lei più congeniale, contraddistinto da un’inusualità creativa strettamente riconducibile alla sua carriera artistica.

Dopo innumerevoli partecipazioni e progetti in diversi campi, tra cui moda, cinema e personali in diverse gallerie americane, la sempre recalcitrante paladina del Indie decide di dare adito ad un suono sempre più intransigente.

Non scende a compromessi ed anzi coniuga spersonalizzati visioni metropolitane a spiazzanti deviazioni electro-noise. Il coraggio non le manca di certo, mostrando quanto una over-60 possa metabolizzare gli stilemi alienanti della nostra contemporaneità senza perdere una briciola di verve cazzuta.

Ed infine come promesso eccovi la playlist:

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