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Intervista a Marco J Mammi: cantare in dialetto per difendere la tradizione

Ormai è capitato a tutti. Arriva quel giorno in cui un componente della famiglia, animato dalle più buone intenzioni, crea il gruppo WhatsApp “Family”. L’intento primario è quello di facilitare le varie organizzazioni della famiglia, ma dopo poco diventa come la Balorda di Soliera: ci trovi di tutto! Proprio in quel gruppo WhatsApp, ho scoperto il video YouTube della canzone Diotbendésa di Marco J Mammi.

L’ho aperto aspettandomi la solita cavolata perditempo. Al termine del video, ho schiacciato “rivedi”. Poi ancora una volta. Dopo poco me la canticchiavo in testa e la condividevo più o meno con tutta la rubrica. Solo più tardi ho cominciato a chiedermi perché mi avesse preso cosi tanto. Sì, è vero, la musica mi faceva battere su e giù il piede a terra e il video mi divertiva tantissimo, ma c’era qualcos’altro. Semplicemente Diotbendésa (che in dialetto reggiano significa “Dio ti benedica”) di Marco J Mammi è terribilmente “personale”. Un inno alla tigella che, cantato in dialetto reggiano, arrivava così diretto da risvegliare in me quel patriottismo tutto emiliano che mi portava a voler condividere il video con tutti coloro sapevo essere emiliani.

Dopo averla ascoltata, ho persino chiamato mia moglie chiedendole cosa fosse previsto per cena perché temevo potesse propormi il minestrone. Fortunatamente, la risposta è stata più tipica di un piatto di lasagne a Bologna: “Non lo so!” Ero salvo.

Affascinato dal brano nella sua totalità, ovvero da video, musica, testo e vocalità, ho ascoltato e guardato qualche altro lavoro di Marco J Mammi. Successivamente ho deciso di contattarlo per un’intervista scritta: oggi posso raccontarvi qualcosa di lui che forse non sapevate.

Chi è Marco J Mammi?

Marco Mammi nasce a Scandiano nel 1983. Oggi, felicemente sposato, fa principalmente il papà dei suoi due bimbi ma si dichiara un veterinario e un falegname mancato. All’età di 10 anni inizia a prendere lezioni di sax gettando le basi della sua carriera musicale. Compiuti i diciotto anni, di ritorno da un anno di scuola frequentato negli Stati Uniti, fonda la sua prima band blues con la quale comincia a esibirsi sottopagato nelle varie sagre locali. Da qui la carriera musicale di Marco J Mammi comincia a prendere forma permettendogli di esibirsi anche come polistrumentista per una Tribute Band dei Dire Straits. Dopo il raggiungimento della tanto agognata laurea in medicina veterinaria, il divertimento che provava nel fare musica si affievolisce bruscamente costringendolo a una pausa durata quasi 6 anni.

Le origini di Diotbendèsa

Un bel giorno del 2018, Marco J Mammi raduna nel suo garage i suoi vecchi amici per strimpellare un po’ e, tra una birra e una tigella, nasce il singolo Diotbendèsa. Un anno dopo esce il CD Diotbendèsa, presentato con un bellissimo concerto al Salvaterra Rock e con il quale si è aperto ufficialmente il Diotbendèsa tour ancora in corso. Oggi è con il gas a martello immerso nella sua nuova avventura musicale e, carico di entusiasmo, ha deciso di dedicarci parte del suo prezioso tempo per raccontarsi un po’.

L’intervista

Marco, come mai hai scelto di cantare in dialetto?

Io canto nel mio dialetto perché è la mia lingua ed è la lingua di chi è nato e cresciuto in Emilia. Quando si parla in dialetto è tutto più diretto, il dialogo diventa più schietto e sicuramente più autentico! Ho scelto di usare il dialetto proprio per questo motivo, volevo parlare la lingua che si parla tutti i giorni senza dover fare troppi giri di parole per arrivare a un concetto.

Non pensi che cantare in dialetto possa limitare l’ascolto delle tue canzoni a un pubblico locale?

Sinceramente no. È più che altro un “dare forza” alle proprie origini e, dal mio punto di vista, è un modo molto efficace per identificarsi. Allo stesso tempo la musica, così come tutte le arti, è un mezzo potentissimo in grado di andare oltre qualsiasi barriera. Non credo che sarebbe stato corretto utilizzare un’altra lingua, nemmeno l’italiano, per trasmettere il pensiero delle mie canzoni. I messaggi dei miei pezzi sono profondamente legati alle tradizioni emiliane, alle origini del nostro territorio, ai nostri costumi, alla nostra mentalità, ai nostri modi di fare e al nostro senso dell’umorismo, quindi trovo che la lingua più adatta per trasmettere questi messaggi sia proprio il nostro dialetto.

È un po’ come quando si ascoltano canzoni tradizionali di determinate aree geografiche. Se vado in Irlanda, voglio sentire le canzoni irlandesi cantate in gaelico, non di certo tradotte in italiano perché “così capisco il testo”. Nemmeno per sogno! Ogni parola delle lingue locali ha il proprio suono, la propria pronuncia, in alcuni casi anche molto stretta e quasi impronunciabile per chi non è originario di quella zona. Tradurre un testo per renderlo “comprensibile a tutti” potrebbe a volte risultare controproducente perché si andrebbe a snaturare la purezza di un linguaggio così genuino.

Le canzoni sono interamente composte, musicate e scritte da te?

Sì, musica e parole. A volte nasce prima la musica, a volte prima il testo. Altre volte nasce prima l’idea di ciò che vorrei mostrare nel videoclip, non c’è una vera regola. Sta di fatto che nasce una bozza, si sviluppa un’idea, poi si fa qualche prova di suoni, un puzzle dei vari elementi e nasce così una canzone. Anche se a volte servono vari tentativi prima di arrivare alla soluzione definitiva.

Nei tuoi video ti vediamo alle prese con vari strumenti musicali. Quanti ne sai suonare e come hai imparato a suonarli?

Non provengo da una famiglia di musicisti ma posso dire che la musica, in casa mia, c’è sempre stata. Ogni tanto qualcuno strimpellava un pianoforte, mio padre metteva un vinile di Celentano o di altra musica italiana o internazionale e mio fratello già da ragazzino suonava la chitarra. Alle elementari i miei genitori mi hanno proposto di iniziare a prendere lezioni di saxofono e così ho iniziato muovere i primi passi con questo strumento sotto la guida del Mo. Paride Sforza, un vero insegnante con la “I” maiuscola che, tra un rimprovero e una strizzata d’occhio, ha gettato le basi di quello che sarebbe stato il mio, seppur modesto, percorso musicale. A lui devo tanto. A parte i preziosissimi insegnamenti tecnici e teorici legati allo strumento musicale, devo dire che se non fosse stato per il maestro di musica della mia infanzia non avrei mai capito quanto siano importanti il rispetto, la dedizione e la cura dei dettagli quando si costruisce qualcosa di musicale.
Tutto il resto, pianoforte, chitarra, canto e poco altro sono venuti di conseguenza ma non li ho mai studiati veramente. Suono come mi viene e… speriamo che fin ora sia venuto bene!

Ascoltando le tue canzoni si nota una varietà di stili. Se dovessi identificarti con un genere musicale, quale diresti?

Bisognerebbe fare un piccolo salto indietro nel tempo per azzeccare i miei gusti musicali. Mi piace e ascolto musica che purtroppo appartiene a un’altra epoca. La mia playlist ideale contiene pezzi che variano dal primissimo blues di inizio secolo fino alla disco dance anni ’70, passando per il soul, il funky e tutti i vari generi di questo filone musicale.

Qual è la tua band di riferimento e quale la tua preferita?

Credo che, se non avessi mai scoperto Ray Charles, esisterebbe ben poco della musica che faccio oggi. Le ispirazioni musicali comunque sono state tante e sarebbe inutile fare un elenco, sarebbe troppo lungo. Vero è che da sempre sono un grande ammiratore delle canzoni e della poesia di Francesco Guccini, per il suo modo semplice e allo stesso tempo profondo di descrivere una situazione o di trasmettere un messaggio. Quando scrivo il testo di una mia canzone cerco sempre di “dire qualcosa” di ben preciso. Tant’è che la maggior parte dei miei videoclip sono “didascalici”, nel senso che nel video succede esattamente quello che sto cantando. Non mi vengono, per ora, testi ermetici o troppo interpretativi. Scrivo le cose che voglio raccontare.

Penso che la scelta di fare video musicali che raccontano il testo della canzone sia vincente, ma cosa significa esattamente girare un video didascalico?

Girare un video significa prima di tutto avere un’idea. Poi scrivere una trama, un soggetto, la sceneggiatura e infine fare uno storyboard, che è assolutamente fondamentale se si vuole rendere il girato il più fluido e meno complicato possibile. Poi si tratta di organizzare le sessioni di girato e avere un minimo di attrezzatura disponibile. Io uso l’attrezzatura che ho e dimensiono il video in base ai mezzi che ho a disposizione. Gli attori sono tutti amici o conoscenti che si prestano sempre volentieri per i miei video.

Il tuo primo album contiene più di 10 tracce. C’è una canzone alla quale sei particolarmente affezionato?

Sono molto legato a una mia canzone che si intitola Un sabet dop mesdé (Un sabato dopo mezzogiorno) e parla dei tempi andati, di quando da bambini si dava un valore diverso al tempo e alla fantasia. Mi ha fatto piacere notare che ha emozionato tante persone, è stata una bella sorpresa!

Grazie Marco! Non ci rimane che vederti in un bel live! Quando e dove sarà il tuo primo concerto del 2020?

Il mio primo concerto del 2020 si terrà il 19 aprile al Teatro DeAndré di Casalgrande. Stiamo studiando uno spettacolo creato ad hoc per l’occasione e siamo super carichi!! Suonerò tutto il mio repertorio e anche di più… qualche sorpresa ci sarà!
Mi dicono dal teatro che sarebbe consigliabile prenotare i biglietti chiamando il numero 0522 1880040 o scrivendo a: info@teatrodeandre.it  

Le canzoni di Marco J Mammi

Al termine di questa intervista, voglio invitarvi personalmente al suo concerto dove sicuramente ci sarà da divertirsi! Io non mancherò! E per chi non volesse arrivarci impreparato, ho preparato una guida all’ascolto dei brani composti da Marco J Mammi.

Inno alla tigella – Diotbendésa

Nostalgia dei tempi passati – Un sabet dop mesdé

Il figlio di Marco parla in dialetto – Mèi che mé

Storia di un uomo sfigato – Oh bein bein

Una mamma cuoca un po’ burlona – I anvèt

Un super eroe a difesa della tradizione reggiana – ResMan

Il cariolino trasportatutto di Marco J Mammi – Al mé cariulein

La passione per la falegnameria – Al marangoun

Un modo alternativo per punire un maleducato – Un camper

L’essere padri – Mé peder

Il regalo giusto a Natale – La cansoun ed Nadel

Maledetta sonnolenza – A g’ò la gnagna

Dove ascoltarle?

Attualmente, l’unico modo per ascoltare le canzoni di Marco J Mammi è attraverso il suo canale YouTube. In alternativa occorre partecipare a un suo concerto e acquistare l’album Diotbendèsa. Al momento non ci sono altri canali di distribuzione!

Con questo ho concluso questo articolo e, siccome è l’1:30 di notte, sapete cosa vi dico? Che A g’ò la gnagna!!

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