Vi è mai capitato di ottenere un ottimo voto ad un esame all’università ma di restare con l’amaro in bocca perché il collega con il quale avete studiato insieme tutti i giorni tutto il giorno in biblioteca ha preso 30&lode? Oppure quando a Natale tu e tua sorella fate il regalo a vostra nonna e lei ha palesemente azzeccato il ricettario della Clerici che desiderava tanto, mentre la tua sciarpa verde acqua di lana al 75% è, si insomma, carina ma niente di che?
Ecco come possono essersi sentite alcune rock band del recente passato: meteore, formazioni dimenticate o di culto comunque in qualche modo eclissate dalla grandezza di un gruppo a loro contemporaneo e vicino, che ne ha rubato lo spot light lasciandogli solamente i legittimi 15 minuti di celebrità, non uno di più.
Noi di RRM proveremo a fare un parallelismo, con l’umiltà massima di chi ha sempre preso 24 e non 30&L all’università, tra alcuni di questi casi.
The Kinks, in relazione a The Beatles
Ogni cittadino di questo mondo è conscio di quanto la band di Liverpool abbia dato allo scenario musicale nel loro decennio di attività, con 4 dei loro 13 album piazzati seconda la rivista musicale americana Rolling Stone nelle prime 10 posizioni dei 500 migliori album di sempre. Un successo dopo l’altro, un testamento artistico restaurato in più occasioni per permettere anche ai fan meno accaniti di poter godere di un gruppo che ha cambiato per sempre costume, pop culture e concetto di musica.
E i The Kinks? La band formata nel 1963 dai fratelli Davies qua in Italia è molto meno conosciuta, ma non per questo dobbiamo dimenticare sia stata una delle più grandi influenze della british invasion prima e del pop da camera poi, stile che mescola rock con elementi di musica classica. Farsi un nome negli anni ’60 mentre i tuoi vicini di casa sfornano hit come Yesterday e Ticket to Ride non poteva essere semplice, ma grazie al loro terzo e quarto singolo i The Kinks si proiettano in cima alle classifiche inglesi e non.
You Really Got Me e All Day and All of the Night sono tracce rudi, grezze, a tratti punk per stile: il suono della chitarra è distorto e vibrante, come se mancasse qualcosa o, al contrario, fosse di troppo. Entrambi i riff sono prepotenti, quel tipo di riff che se lo ascolti al mattino ti rimane fisso in testa fino alla camomilla della buona notte, forti di un’introduzione solo loro ad inizio brano e successivamente raggiunti da una batteria cucitagli addosso che sfocia poi nel ritornello catchy tanto caro anche a McCartney &Co.
A proposito, provando a fare un’analisi comparata tra le due band, si può notare come le tracce in Kinks (ndr album d’esordio 1964) sono di composizione simili ai primi lavori dei The Beatles e la struttura verso-ritornello-verso-bridge-ritornello è quasi sempre stabile. Ciò che cambia è la presenza in molti brani di assoli di chitarra (ma non solo, vedi Cadillac e la sua fisarmonica super rock) nudi e crudi, che interrompono e distorcono il riff spina dorsale della canzone per qualche secondo, come un premonitore squarcio punk prima di tornare nel galateo musicale anni ’60.
I temi delle tracce sono simili, i cori e le seconde voci emergono tra le strofe in entrambe le band. La differenza in conclusione è la maggiore aggressività, un imprinting più crudo, diretto e sporco, uno stile musicale che potremmo definire archetipo del garage rock tipicamente british che ancora oggi definisce molti gruppi contemporanei, con venature punk e hard rock.
In soldoni bucati, potremmo riassumere il paragone ed elaborarlo in questa sofisticata sintesi: i The Kinks sono i cugini grezzi ed audaci dei The Beatles, con meno groupies e qualche droga in più.
La maturazione dei The Kinks porta la band londinese a produzioni sempre più elaborate e sperimentali, sfociando in opere rock teatrali e liriche. Scelta che non tutti i fan hanno saputo apprezzare evidentemente, scoraggiandone il successo e di fatto costringendone lo scioglimento nel 1996.
Seppur per poco, cari fratelli Davies, You really got me.
Jet, in relazione a Franz Ferdinand
Australiani i primi, scozzesi i secondi. Possiamo certamente accomunare le due band per stile, periodo e successo d’esordio. Solamente la band di Kapranos &Co è però riuscita a sopravvivere all’etichetta di meteora, incidendo il proprio nome nell’olimpo dell’indie rock, se mai ce ne fosse uno.
E i Jet? Beh, potete ancora ballare sulle note di Rollover DJ a qualche festa non convenzionale (tipo questa), ma nulla di più dato che si sono perse le loro tracce dal lontano 2012. Forse i Maya non avevano tutti i torti.
Come detto, i parallelismi tra le band sono molteplici: lo stile musicale è quello del rock post-punk da ballare con più arti possibile, ritmi alti e crescendi musicali che sfociano in scaricate di adrenalina e chitarra, non per forza con un senso logico (non sempre ce n’è bisogno). Un rock da disco, non impegnativo se non fisicamente, per lo sforzo a ballarlo.
Va inoltre detto che se i Jet conoscono le brezza del successo mondiale nel 2003 grazie a tracce quali la già citata Rollover DJ e Are You Gonna Be My Girl?, anche i FF toccano l’apice ad inizio millennio, quando nel 2004 pubblicano nell’omonimo album d’esordio Take Me Out tra tutte, ancora oggi riconoscibilissima anche ai meno avvezzi grazie al suo (ab)uso in pubblicità e programmi televisivi.
Canzoni fatte e finite per il mercato rock e non solo, target di consumatori evidentemente disposto a chiudere un occhio su tematiche e messaggi sociali ma ad aprire le orecchie per del buonissimo e senza pretese rock ‘n’ roll.
Cosa è andato storto allora? I Jet hanno venduto più di 3,5 milioni di copie con il loro debut album Get Born, ma non danno alla luce un singolo di successo da 15 anni ormai, forse dovuto al fatto che troppo si sono adagiati su uno stile musicale che aveva per forza di cose bisogno di rinnovamento.
E se è vero che squadra che vince non si cambia, ogni tanto una spolverata va sempre data: i Franz Ferdinand non hanno tradito il loro credo artistico e tutt’ora la loro musica mira a fare ballare un pubblico che non ha voglia di farsi troppe domande, esattamente come nel 2004 e riuscendoci ancora maledettamente bene. Ma non per questo non si sono evoluti, cambiando membri della band, avvicinandosi a nuovi suoni e strumenti prima lontani e azzardando qualche collaborazione audace (vedi FFS, supergroup insieme alla band glam-rock Sparks).
Istinto di sopravvivenza o voglia di stupire, chiamatelo come più volete. Ai Jet è mancato.
The Kills, in relazione a The White Stripes
Ottima annata, quella del 2006. Dimenticata magicamente ogni differenza sociale e ingiustizia non specificata, un’Italia mai così patriottica si riuniva nelle piazze di fronte a maxischermi per seguire un campionato mondiale di calcio che terminerà poi in successo (grazie ancora, testata di Zidane). Colonna sonora di questo splendido viaggio azzurro? “Andiamo a Berlino Beppe” ma soprattutto Seven Nation Army dei The White Stripes, che con il suo riff diventato vero e proprio coro da stadio ha definito quella calda estate Italiana.
Un tormentone quello della band di Jack e Meg White, in realtà pubblicato nel 2003 nel loro quarto album Elephant, LP che ne consacrò il successo mondiale, grazie anche a tracce come The Hardets Button to Button e There’s No Home for You Here (L’album si è posizionato quinto nella classifica dei 100 migliori album degli anni 2000 secondo la rivista Rolling Stone).
Per i più distratti, il successo della band può forse essere attribuito solamente alla felice riuscita di quella traccia da stadio, ma la verità è che Jack White ha dimostrato nel corso degli anni di essere musicista tra i più impegnati e polimorfi del panorama musicale: oltre ai TWS, è frontman del gruppo The Raconteurs e batterista e seconda voce nel progetto The Dead Weather. Senza scordarsi giustamente la sua carriera da solista e le collaborazioni in cui si è dedicato in questi anni. Un’agenda sicuramente piena.
Non da meno però il curriculum dei The Kills, band formata ad inizio millennio dalla cantante statunitense Alison Mosshart e dal chitarrista britannico Jamie Hince dopo essersi incontrati a Londra, scambiati registrazioni e spunti da un continente all’altro per diversi anni e poi stabiliti definitivamente negli UK.
Anche in questo caso, i parallelismi non si sprecano. Parliamo infatti di due two men band, particolare sicuramente da dover tener a mente anche perché, che rimanga tra noi, mi sono personalmente sempre chiesto come un gruppo potesse essere in grado di produrre musica solamente con due elementi; Se va ricordato che Jack White è polistrumentista feroce (chitarra, basso, batteria, pianoforte e chi più ne ha più ne metta), i The Kills hanno scelto di affidarsi inizialmente alla drum machine per il loro debut album Keep on Your Mean Side, prima che Jamie Hince si dilettasse anche con la batteria.
Musicalmente parlando invece, le cose cambiano e non poco in termini di influenze, tecniche e stile: The White Stripes galoppano decisamente un hard rock da anni 2000, con suoni forti e immediati, senza scorciatoie o ghirigori; e se è vero che Jack White mostra a più riprese le sue capacità musicali con accompagnamenti di tastiere, è la chitarra a farla da padrona: un tripudio di riff accattivanti, scariche di corde ruvide e calde allo stesso tempo, un suono da garage rock, ma ben pensato ed ancora meglio eseguito.
I The Kills adottano invece uno stile più sperimentale, che potremmo catalogare nell’alternative rock. Nel loro caso, la chitarra protagonista viene abilmente affiancata da sfumature tipicamente elettroniche, come un tuffo nei magnifici anni ’80. Nostalgia canaglia. (la traccia The Good Ones ha lo stampo tipico di quella new wave sperimentale che ci ha abituato a bit continui e prepotenti, qua intrecciati magnificamente con la chitarra di Jamie Hince).
La chicca è però senza dubbio Future Starts Slow, presente nell’album Blood Pressures, esempio di cosa sia capace questa band britannica. Ascoltatela, è un consiglio spassionato.
In definitiva, The Kills nient’affatto una meteora, anzi, band di nicchia per solo i più pronti a godere del loro indie rock sperimentale. Questo si, 30&lode.

Nasce nel 1993 con tutte e due le mani, soddisfacendo l’unico requisito per poter scrivere per RRM. Non il blogger di cui avete bisogno ma quello che meritate.