È già passato un anno da quando Alessandro Mannarino si è esibito in concerto al Musée d’Orsay di Parigi. Prima che la pandemia da Covid-19 venisse a stravolgere le nostre abitudini, un artista nostrano di grande talento ci regalava una notte all’insegna dell’arte. Nonostante tutto, uno dei più bei ricordi del 2020.
Il 16 gennaio 2020, giorno del concerto di Mannarino a Parigi, il Covid-19 già circolava ma eravamo del tutto ignari della sua incombente minaccia. Era una normalissima serata di gennaio in una Parigi più che mai frenetica, sebbene martoriata dagli scioperi e dalle proteste dei gilets jaunes. Per una sera quel mondo caotico è sembrato fermarsi al richiamo della musica. In un mese anonimo e freddo che di solito non piace proprio a tutti, quella notte ha trasmesso un’euforia da balera estiva, lasciando un ricordo indelebile.
Come lo stesso Mannarino ha scritto in un suo post su Facebook, spettacoli come questo sarebbero oggi illegali. Frotte di persone in festa sotto di un palco, libere da mascherine e da qualsiasi restrizioni, sembrano adesso immagini di un’altra epoca, di un tempo che non sembra più tornare. Invece è passato soltanto un anno. Un anno che ci ha fatto capire quanto l’arte sia un bene prezioso ed essenziale.
Mannarino a Parigi: 30 minuti di arte, musica e pura vita
Il concerto esclusivo di Mannarino al Musée d’Orsay di Parigi si è svolto in due atti di mezz’ora circa, nel cuore del corridoio centrale del celebre museo parigino. A fare da contorno, una elegante expo di danzatrici di Degas. Un’esibizione breve ma intensa che trasudava arte in ogni sua forma: musica, pittura, scultura, tutte unite in un unico spettacolo, originale e di rara bellezza.
Il concerto è stato aperto da Apriti cielo, tratto dall’omonimo album del 2017, per poi continuare con l’energia contagiosa di Osso di seppia e Tevere Grand Hotel, che in pochi minuti hanno trasformato il Musée d’Orsay in un’enorme pista da ballo.
La festa è poi proseguita con la bellissima Arca di Noè, anch’essa tratta da Apriti cielo, quarto album in studio dell’artista romano. Una canzone che oggi riascolto con un velo di nostalgia ma anche tanta speranza. Non solo per il ricordo legato al concerto di Parigi, ma soprattutto per il testo che mai come ora suona provvidenziale:
Questa è una storia da raccontarePuò andare bene, può andare maleMa non si sa qual è il finaleBisogna andare, comunque andare
[…]Si va si va, ma dove si va
Chissà chissà, paura non ho
E questa vita mia è tutto quel che ho
Più breve lei sarà e più forte canterò
Ora come non mai ci tocca imparare a prendere questa vita va presa così com’è, con i suoi ostacoli quali possono essere pandemie e catastrofi naturali. Nel bene o nel male, non ci resta che una vita da vivere e raccontare con tutte le sorprese che può riservarci. Per cui stringiamo i denti e continuiamo a cantare, proprio come quella sera a Parigi, quando il pubblico si è scatenato su Me so’mbriacato, forse uno dei brani più famosi di Mannarino. Un indimenticabile gran finale degno di una serata così esclusiva.
L’arte è il tesoro dell’umanità
Spettacoli come quelli di Mannarino a Parigi ci ricordano che l’arte non è un’opzione, né un lavoro “non essenziale”. La cultura è un elemento essenziale del nostro essere e la vita stessa è di per sé un’opera d’arte. Eventi di questo calibro ci fanno capire che l’arte deve tornare a far parte di noi, invece di restare un lontano ricordo legato ad un’epoca Covid-free. Riprendendo le parole di Mannarino:
L’arte in ogni sua forma è il vero tesoro dell’umanità. E adesso quel tesoro lo rivogliamo indietro. Oggi non posso fare concerti, ma se guardi il mio palazzo di notte, spesso c’è una finestra con la luce accesa. Sono io che traccio segni su una mappa del tesoro. E così immagino che ogni luce accesa nella notte sia qualcuno che resiste, che insiste, che si fa domande, che non si lascia abbattere.
Casertana d’origine, expat per scelta. Biologa, cantante per diletto, animale notturno concerto-dipendente e frequentatrice compulsiva di aeroporti.