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Pasqualino trebellezze

«Mi dicono che sono orfico, ermetico, dadaista, ma storicamente non posso esserlo,… Mi chiamano così perché non hanno una parola di nuovo conio.»

Così Pasquale Pannella poeta astruso, scrittore modernista e paroliere istrionico veniva etichettato tra gli anni 70 e 80.

All’apice del suo successo come autore di testi strinse floride relazioni con alcuni dei migliori artisti dell’epoca. Proprio in quel ventennio instaurò un rapporto fiorente con il fin troppo sottovalutato Enzo Carella.

Il sodalizio tra i due rimarcò quanto anche in Italia si poteva essere di rottura pur rimanendo estremamente orecchiabili; infatti Carella con la sua voce felina, sensibile e riflessiva ben si adattava a quelle trame concettuali, a quelle ghirlande pirotecniche che il buon Pannella sapeva tirar fuori dal cilindro all’occorrenza.

Capolavoro del tandem succitato è a mio avviso Sfinge; a primo acchito rimaniamo spaesati quanto i Tebani ai piedi della creatura mostruosa della simbologia greca.

Si viene colti da un indovinello dal quale pare non esserci risposta, poi un giorno compare baldanzoso Edipo-Carella che con sofisticata eleganza riesce a donare una veste magica alla enigmaticità della Sfinge-Pannella.

Del mitico album la traccia che svetta per malinconica saudade e per inguaribile finesse è sicuramente questa:

 

Proprio questo pastiche di suoni speziati, il tono di voce esile, di un pallore quasi alabastrino ed i testi che fanno della paronomasia il loro trademark si rivelerà intrigante assai per il cantante italiano più famoso dell’epoca: Lucio Battisti.

Il reatino da poco ritirato dalle scene volle far parte di quel microcosmo caleidoscopico creato dai due e decise di arruolare il rampante paroliere per rinnovare il suo percorso artistico.

Furbamente però decise di prendere prima le misure sporcandosi indirettamente le mani; chiamò al soldo il Signor Pappalardo, operando quindi come vero e proprio arrangiatore, strumentista e ghost writer.

Qui la trovata geniale; arruolare quel cantante di razza, puntellare la sua voce maschia, testosteronica con sprazzi di synth, tiro funky e tecnopop a profusione, infarcendoli poi con testi in perfetto equilibrio tra lo zuccheroso e il rapsodico a firma PP.

Si può dire che se è vero che Battisti prese in prestito la verve carrelliana per giungere poi a quella alienazione colta che troveremo successivamente negli album bianchi, mai riuscì a superare il verace Adriano come interprete delle deliranti liriche del paroliere romano. E questo va dato atto al cantante pugliese.

 

Trovata la quadra con l’incomprensibile ma evocativa lingua pannelliana Battisti si spoglia definitivamente da qualsiasi orpello commerciale e tira a lucido il suo piglio creativo.

In Don Giovanni troviamo punte wave, cadenze smooth jazz, incursioni cinematografiche, synth pop patinato, il pop melodico tipico del Belpaese e chi più ne ha più ne metta.

Lontani i tempi in cui inciampava maldestramente ma pur sempre con elegante noncuranza sulle note della premiata ditta Battisti-Mogol; nel disco in questione testi debordanti, aulici e giocherelloni risultano imprevedibili quanto sbalorditivi.

Dal lotto prelevo non la migliore, che va riconosciuta alla distaccata bellezza della title-track, ma la più anomala, soprattutto per quanto riguarda arrangiamento e testo.

Trovatemi voi un’altra canzone che abbia mood dance, assolo di sax, echi epici e liriche che mischiano un pantagruelico ricettario di cibo e dediche d’amore.

 

A mia discolpa: queste sono solo tre semplici raccomandazioni, consiglio vivamente di ascoltare gli album da cui ho scelto le canzoni nella loro interezza. Tutti e tre furono antesignani non solo nell’uso della parola ma bensì nell’utilizzo dell’accompagnamento.

Basti pensare che nel primo vi erano alcuni dei maggiori esponenti della cosiddetta Neapolitan Power, nel secondo metà dei componenti dei Goblin oltre allo stesso Battisti ed infine nel terzo nientepopodimeno che lo stesso ingegnere del suono impegnato nei live The Wall dei Pink Floyd.

Extrail titolo riprende uno dei film più belli di Lina Wertmüller (Pasqualino Settebellezze ndr), che sinceramente non c’entra una beneamata mazza con l’articolo in questione ma papale papale l’assonanza con il nome dell’autore protagonista dell’articolo ed il numero dei video selezionati mi sembrava azzeccata.

Infine ecco a voi una canzone pazzamente trash che ahimè ha scritto sempre il nostro ad inizi Novanta:

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