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Perché Daniel Lopatin merita un ascolto

Netflix ha rivoluzionato il nostro modo di intendere la visione, e di conseguenza, la godibilità ludica del mezzo televisivo prima e cinematografico dopo. Non bastava il colpo di grazia a un già traballante comparto home-video, ormai orientato verso un più assiduo e coinvolgente home entertainment, ma si è spinto ben oltre.

So bene che a molti voi maschietti manca quel desiderio peccaminoso di oltrepassare quelle tendine che dividevano il reparto noleggio standard da quello diciamo “un po’ scabroso” dei filmini osé. Beh, ma anche quelli avevano una solida trama dietro, direte voi. E io non posso che accodarmi al vostro monito: tutto vero, tutto giusto!

Ma questa è un’altra storia e il colpevole è un altro colosso (Porn Hub), che in questo articolo però non cadrà sotto la nostra ira funesta. 

Netflix ha prima rimosso il piacevole feticcio fisico del telecomando, rendendolo obsoleto con l’autoplay. Ha cancellato, o meglio epurato, indirettamente l’effetto cliffhanger tanto caro alla serialità e ha pure iniziato a convergere parallelamente verso il cinema, producendo film in odore dell’Oscar più ambito (quello di miglior film con Roma di Alfonso Cuaron, ndr).

La vera forza erculea di questa piattaforma streaming però si sostanzia nella infinitesimale possibilità di poter distribuire oltre che, come abbiamo visto produrre, tutto lo scibile della manipolazione massmediatica. Soppiantando quindi la già claudicante, moribonda e coscientemente animata da istinto suicida, televisione generalista.

Ed eccoci giunti all’annoso problema. Netflix ha fagocitato il meglio del cinema e il peggio della tv di bassa lega. Ha aspirato nel proprio vortice randomizzato documentari sul profondo inganno endemico dello sport (Icarus), serie fenomeno (Stranger Things) e il realismo magico e traumatico (Bojack Horseman) solo per citare alcuni esempi. A latere, però, bisogna ammettere che vi sono state anche cantonate fragorose che non citerò per non dilungarmi oltremodo. In tale baraonda dobbiamo comunque ringraziare Netflix per averci fatto recapitare una gemma, è il proprio caso di dirlo, dei giorni nostri.

Uncut Gems

Adam Sandler protagonista – e partiamo malissimo – dato il mio auto-ostruzionismo nell’evitare tutto ciò che vede il sopracitato davanti a una telecamera. 

Kevin Garnett, che rimette subito tutto in carreggiata, essendo io grande appassionato di basket. In aggiunta, The Big Ticket (il suo soprannome) sembra una scelta azzeccatissima data l’arcinota padronanza nell’esagitare i propri rivali con un viperino trashtalking, quasi fosse il suo biglietto da visita oltre alle sonore dunk a cui ci ha abituato. 

John e Benny Safdie, folli, forsennati e geniali autori, mi convincono definitivamente a guardare il film. Infine Daniel Lopatin dalla stanza dei bottoni, per domare la corsa contro il tempo del protagonista con una colonna sonora al contrario metafisica.

Il film meriterebbe una disamina a parte per la focosa autarchia magnificata nella settimana allucinante condotta dal protagonista. Un ritmo frenetico che prende alla gola e amplifica ferocemente ciò che già si era subodorato nel loro altrettanto riuscitissimo Good Time

Noi invece pur riconoscendo ai fratelli Safdie il vanto di aver architettato questa schizofrenica e nervosissima pellicola che farà parlare i posteri di un nuovo Mean Streets (non è certo un caso che tra i produttori spicchi proprio Martin Scorsese), privilegeremo la protagonista indiscussa di questa pellicola: la colonna sonora.

Esatto avete capito voi tutti, non vogliamo certo qui fare una futile e insulsa classifica di merito su chi è prevalso per impegno profuso nella pellicola. È indubbia infatti la puntigliosa valenza di tutti ma è altresì vero che l’accompagnamento musicale spesso viene messo in secondo piano. Tranne forse quando presenta una predisposizione sensazionalista e neoromantica o che non disdegni il valore sinfonico delle grandi orchestre (qualcuno ha detto forse John Williams?). 

daniel lopatin

Oneohtrix Point Never

Prima di andarci a immischiare nella turbinosa e pregevole soundtrack, è doveroso quantomeno citare i passaggi salienti della carriera del suo autore.

Daniel Lopatin in arte Oneohtrix Point Never ha esordito circa una decina di anni fa. L’orecchio rivolto verso un suono glitterato, analogico e lounge. Sembrava quasi di stare seduti inermi e boccheggianti davanti a un tubo catodico facendosi sommergere da un suono ultra citazionista, al limite del feticismo verso la decade ottantiana. Quel suono, che col senno di poi verrà chiamato hypnagogic, avrebbe poi contorcuitato gli anni a seguire di un certo pop vedendo proprio il nostro come fautore e per certi versi precursore del genere. 

Dopo aver dichiarato amore eterno a un tipo di suono, subito lo molla sul più bello. O meglio tralascia quella fascinazione carnale per sfiorare un giochetto filo-musicale che poggia su impalcature di etereo new-age. In men che non si dica OPN disancora il proprio sound verso l’apparente abbandono di uno stile prestabilito: la splendida condizione dell’autore che tutto vuole e tutto può.

Negli anni Daniel Lopatin non si preclude nulla. Armeggia con noncurante disinvoltura tra aridi fieldrecordings, patchwork glitch, music concrete, abrasivi e urticanti suoni electro ed accorate poesie androgine.   

Un lento e inesorabile arroccamento su sé stessi, un asimmetrico sguardo su ciò che si è e si percepisce, un film proiettato sulla propria solipsistica coscienza.

Behind the Soundtrack

Da un isolamento quasi forzato il nostro ha però trovato anche alcune collaborazioni che hanno espanso, se ulteriormente possibile, una visionarietà non più potenzialmente illimitata a sprigionare trovate sempre più sperimentali bensì nel coadiuvare un’estetica già consolidata da autori terzi.

La grandezza di questa colonna sonora è dovuta soprattutto al sapersi intelaiare all’accelerazionismo visivo dei registi, ai suoni extradiegetici e opprimenti del viscido quartiere Diamond District e all’accumulo di tensione che martoria l’allucinato protagonista. 

Il giusto contraltare quindi, liquido, rarefatto e magnificamente mistico.

Qui sotto vi lascio il behind the soundtrack che spiega in maniera per nulla didascalica come sono nate alcune delle idee poi riversate in questo opale prezioso.

 

 

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