Rivisitazione: Pimm’s Cup
Ingredienti:
- Pimm’s
- Shrub al Cetriolo
- Tintura Rosmarino e Lavanda
- Ginger Ale
Assunto preliminare ad un corretto svolgimento del prossimo articolo: pare assai limitante anche solo pensare di poter tradurre in parole l’estasi trasmessa dal singolo brano in questione, che poi singolo non è, essendo suddiviso in due suites.
Reputo inoltre quantomeno assurdo avere la minima sfrontatezza di accostare un drink a tal celeberrima composizione.
Pertanto, in maniera certamente non salomonica, mi riservo di trattare solo una delle due parti, nello specifico la seconda, quella rubricata sotto il nome di Shine on You Crazy Diamond Pts 6-9.
Lo so, merito il disprezzo di voi tutti, mi accingo a dirigermi verso quel pietroso muro per venir linciato e lapidato per cotanta sfacciataggine, ma io scrivo e BEVO solo quello che mi va, quindi noncurante delle aspettative mi riservo di castrare la prima sezione e iniziare il viaggio dalla fine.
A pensarci poi bene, tutto l’album si sostanzia in un concept incentrato sull’assenza, su un’innocenza ormai perduta, sul sentirsi perennemente fuori luogo e fuori tempo.
Guarda un po’, forse sotto sotto risulta pure che sono coerente con il disco tutto.
A dispetto della prima con una partenza lenta, meccanica, apatica e dall’andamento chirurgico, per certi versi anche epico, la seconda frazione nasce da uno spiro siderale, un fluido che si eleva verso nidi già profanati ma desiderosi di accogliere spiriti bucolici e bruciati vivi dentro.
Le corde sinuose, già destate dal torpore creato dalle tracks antecedenti al misfatto, fendono con l’accetta il passo verso il refrain che ci riporta dritti alla prima parte di brano.
La voce soffocata, poi sguaiata, inneggia odi di adamantino splendore.
Tutto tramonta. Anzi no, sale in cattedra il “terzo” del gruppo, desideroso di mostrare agli altri due galletti del pollaio (Waters-Gilmour) che a questo capolavoro non si può mettere fine.
Wright mette mano su tutto ciò che passa il convento (organo, Minimoog, piano elettrico e acustico); l’atmosfera si fa più rarefatta, l’anima arretra di lato, ma continua a procedere verso un sogno opaco, insostenibile, sospeso, senza fine.
Shine on You Crazy Diamond si traveste da un grande classico della miscelazione britannica, conosciuto e apprezzato da tutti, d’altro canto bisogna ricordarsi che i Pink Floyd, dopo aver reciso la Via Lattea con quel dischetto a nome Dark Side of the Moon, non erano più solo i pionieri di un sottogenere psichedelico ma alfieri del Rock tout-court, aperto a tutte le orecchie, adatto a tutti.
Il drink si apre con l’effervescenza ribelle della bibita sodata, sgorga verso una profondità floreale e resinosa delle due tinture madre, decide di farsi bello agli occhi di tutti con il fascino a tratti respingente dello shrub per poi giungere alla grazia iridescente dello spirit da noi prescelto.

Bon vivant escapista. Commendevole fricandó di utopie. Indole appocundriaca. Loggionista alticcio.