Dimenticate frequenze radio e playlist preimpostate su spotify: nel bellissimo ed eterogeneo mondo della musica ci sono artisti che, come i mandarini più belli nell’angolo bio del supermercato, devono essere cercati con cura prima di poterli apprezzare. E noi di RRM andiamo pazzi per i mandarini.
Ecco 5 band fuori dal mainstream a cui dovreste dare una chance.
5 – Black Midi
Irruente caos ordinato. Se dovessimo descrivere la band di Geordie Greep&Co con tre parole, noi azzarderemmo queste, consapevoli della loro intrinseca fallacia. Il progetto Black Midi (in riferimento ad un genere musicale nato in Giappone) nasce a Londra nel vicinissimo 2017 e porta con se frenesia da post punk miscelata con melodie groovy tanto potenti quanto a tratti inaspettate. Il loro debut album Schlagenheim è eterogeneo, esagerato ma coeso ed il filo conduttore che lega tracce e raccolta intera si tende prepotentemente senza mai però rischiare di arrivare a rottura. L’opening track 953 è puro punk metodico, irruente caos ordinato appunto, subito seguita dal gioiellino Speedway, un brano quasi funky, monito di quanto poco classificabili siano i Black Midi: Near DT, MI, bmbmbm e Ducter sono tracce spasmodiche e godibili come l’intero album, e nemmeno il cantato maniacale del frontman scalpella il capolavoro. Giovani si, ma con una precisa identità musicale.
4 – Ty Segall
Può un artista che ha pubblicato 9 album di studio più una marea di collaborazioni e B projects considerarsi fuori dal mainstream? Beh, se il tuo nome è Ty Segall evidentemente sì. Mentre il polistrumentista Californiano non è di certo nuovo alle ben allenate orecchie americane, qua in Italia il suo nome può piuttosto essere confuso con quello di un appesantito attore di film d’azione col codino, 20 anni e 20 Kg di troppo.
Ecco a voi quindi il ricettario per scoprirlo ed apprezzarlo: prendete un talentuoso musicista indipendente e mischiate con tematiche spensierate e riff tra il punk ed il garage rock. Vi ritroverete con brani quali Every 1’a Winner (spin off dei White Stripes se ce n’è uno), Girlfriend e The Singer solo per citarne alcuni, pezzi carichi di energia e poveri di pretese, ma non per questo canzoni nelle quali non ci si possa ritrovare. Non riusciamo a consigliarvi un album in particolare, tutta la discografia è godibile e facilmente affrontabile. Non stanca mai insomma, come My Lady’s on Fire, la preferita della redazione RRM. Provare per credere.
3 – Parquet Courts
Un’altra band post punk/garage rock (ce ne scusino i lettori meno avvezzi al genere) questa volta direttamente dalla grande mela. Il quartetto capitanato da Andrew Savage entra di diritto in questa speciale top 5 grazie al loro rock frenetico e mai domo, unito a tematiche che toccano punti focali ben definiti, tra sociale, politico ed ambientale. I Parquet Courts ci raccontano di città come meri contenitori di persone (Dust e I Was Just Here), di collettivismo come risposta ad una società mal funzionante (Total Football) o semplicemente di quell’appetito che non sai spiegare dopo una notte brava (Stoned and Starving). Se le prime raccolte sono indubbiamente ancora acerbe e lontane da un saldo equilibrio, con gli ultimi due album la band dimostra di saperci fare eccome, regalando a noi piccoli ed affezionati fan tracce dalle melodie catchy e dai temi personalmente identificabili. Una band impegnata, senza che impegni troppo.
2 – King Gizzard and the Lizard Wizard
Più che una band, quasi una banda. I KGATLW riescono ad unire 7 teste e a farle girare agevolmente come unico organo funzionale al loro progetto: sorprendere, mescolare le carte in tavola e ridefinire il concetto di categoria musicale. Non a caso i ben 15 e-dico-15 album di studio sono più vicini ad un manuale scolastico d’arte più che ad un approfondimento mirato ad una corrente sola, una discografia che gioca con differenti generi ad ogni nuova pubblicazione. Se i primi album sono identificabili come garage rock alla meno peggio, con le uscite successive (Eyes Like the Sky) si passa ad un folk rock psichedelico dai lisergici rimandi, fino all’acid rock ed alla musica microtonale (Quarters! e Flying Microtonal Banana). Insomma, chi più ne ha più ne metta. Fishing For Fishies racchiude istinti blues e tematiche legate alla conservazione dell’ambiente. Infest the Rat’s Nest è invece l’ultimo ed il lavoro più heavy della band australiana, un inno al trash metal ed alle influenze di gruppi come Slayer e Rammstein. Una formazione che non smette mai di stupire. Soprattutto grazie ai loro videoclip contemporaneamente da mani nei capelli e standing ovation.
1 – Idles
Una delle band più apprezzate del panorama indipendente degli ultimi anni, non senza giustificate motivazioni. Joe Talbot e compagnia, ci accompagnano nella disillusa Bristol per dare un’occhiata a come la classe media inglese se la sta passando ai tempi della brexit, della xenofobia galoppante e dell’omofobia senza ritegno. Tematiche delicate che tanto stanno bene a braccetto col furioso post punk che il quartetto ci vomita addosso con rabbia e passione. Forse da un lato tecnico non sono i migliori musicisti del mondo (e nemmeno di questa personalissima e criticabile top5), ma le loro performance sono vere, ardenti e semplicemente autentiche. Basso e batteria presentano un binario fondamentalmente pulito che poi i regionali veloci chitarra principale e ritmica stravolgono con i loro riff raccapezzati, tanto imperfetti da diventare assolutamente perfetti. Il frontman non sta solamente sul palco, ma se lo divora con urla da hooligan, graffiate e emotive. In un frastuono che vi consigliamo di apprezzare attraverso le loro performance dal vivo. God save the queen.

Nasce nel 1993 con tutte e due le mani, soddisfacendo l’unico requisito per poter scrivere per RRM. Non il blogger di cui avete bisogno ma quello che meritate.